ll bene superiore

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Dantooine. Pochi mesi dopo la fine della Guerra Civile Jedi.

Bastila riaprì gli occhi. L’erba alta, mossa dal vento, le carezzava la lunga veste nocciola. I capelli, solitamente ordinati e curati, erano spettinati e sconvolti dalla brezza che attraversava la pianura. Si trovava inginocchiata su una piccola altura; davanti a lei, fra enormi crateri, si stagliavano le rovine annerite dell’Enclave Jedi. Quella che un tempo era stata una nobile costruzione lucente, dove Bastila aveva passato la maggior parte della sua giovane vita, ora era un ammasso di macerie. L’antico obelisco dedicato ai grandi Jedi del passato giaceva riverso a terra, spezzato in due, mentre statue e artefatti erano crollati e presto sarebbero stati prede di sciacalli e mercenari senza scrupoli.

Era stato Darth Malak, il Signore Oscuro dei Sith, a ordinare il bombardamento di Dantooine che, oltre all’Enclave, aveva distrutto anche le tenute circostanti. Ora che Malak era morto, le truppe Sith erano fuggite dal pianeta, terrorizzate dall’insurrezione dei contadini, ma avevano lasciato profonde ferite dietro di loro.

Malak. Bastila non poteva dimenticare chi era e cosa aveva fatto. Morte, distruzione, terrore: il suo nome era legato unicamente a questo. E lei era stata una stupida. Si era lasciata avvinghiare dalla seducente morsa del Signore Oscuro, divenendone, seppur per pochi giorni, la fedele apprendista. C’era mancato poco che gli permettesse di vincere la battaglia definitiva, quella combattuta intorno alla Star Forge, la tremenda stazione con la quale i Sith avevano creato le loro armate. La vittoria era infine arrisa alla Repubblica e Bastila era stata redenta, ma non poteva non sentirsi una debole. Troppo debole. Era stata sedotta tanto facilmente: il lato oscuro aveva annientato la sua forza di volontà come fosse stata meno che nulla. E non era stata la prima o l’ultima volta.

Era avvenuto lo stesso con Revan: si era legata a lui, si era pure innamorata di lui, dimenticandosi di quello che era stato. Era stato il Signore Oscuro dei Sith prima di Malak, maestro di quel mostro, ed era stato lui ad iniziare la guerra. Si era redento, almeno apparentemente; ma Bastila aveva imparato assai bene che può guarire solo chi intraprende il sentiero oscuro, non chi annega nel mare delle tenebre. A lungo si era chiesta quale fosse il caso di Revan. Il dubbio l’aveva lacerata.

Revan, divenuto Signore Oscuro, aveva invaso la Repubblica. Per “proteggerla”, per “rafforzarla”, le aveva successivamente detto. Ma come poteva esserci alcuna “protezione” quando interi pianeti venivano bombardati, folle massacrate, ecosistemi alterati a causa della guerra? Malak non voleva proteggere la Repubblica, lui voleva distruggerla, e fu più spietato del suo predecessore… ma anche Revan aveva compiuto efferatezze innominabili. L’ammiraglio Saul Karath, ex comandante supremo della flotta Sith, aveva bombardato Telos dietro la silenziosa acquiescenza di Revan. Il pianeta giaceva ora in macerie fumanti, una ferita sanguinante sul volto lacero della Galassia.

Bastila aveva distrutto la Star Forge al fianco di un Revan redento. E dopo si era innamorata di lui tanto da abbandonare l’Ordine Jedi per poter dedicare tutte le sue energie, tutto il suo tempo al suo amato. Ancora una volta, era stata ammaliata dal suo fascino e aveva perso di vista quello per cui aveva spiritualmente giurato di combattere con dedizione: il Bene Superiore. Per questa causa aveva a lungo rinunciato ad ogni vizio, ma soprattutto a qualsiasi affetto; la venuta di Revan aveva cambiato le cose. Con lui si era sfogata, aveva smesso di percorrere la sua propria strada e aveva imboccato quella dell’uomo per cui si era invaghita. Una strada non sua. Qualche giorno prima, aveva pensato di essere perduta, di non poter fare più nulla per il Bene Superiore, di essere costretta a rompere il giuramento fatto davanti alla Forza e, così, spezzare sé stessa.

Ma le cose erano andate diversamente.

«È l’ora di andare» le aveva detto Revan una notte, mentre i due erano adagiati sulla cima di una delle colline di Dantooine, che dava sulla pianura di Khoonda, splendida e verdeggiante. Lì vicino, gli abitanti stavano costruendo un rifugio per i numerosi senzatetto. L’aveva guardata e aveva ripreso: «La vecchia flotta di Malak ci seguirà, e anche alcuni Jedi Caduti. Ci attendono a Qalydon. Ho già detto a Carth di prendersi cura della Repubblica. Il Cancelliere Supremo mi ha confermato che sarà promosso ad ammiraglio e capo della flotta. Possiamo proseguire tranquilli».

«Dove andiamo?» aveva domandato lei, disorientata.

«Nelle regioni ignote. Là attendono, nell’ombra, i Veri Sith. Sin dalla caduta del loro impero, più di mille anni fa, essi si sono preparati a reclamare la loro vendetta. Ho avvertito la loro presenza dopo le Guerre Mandaloriane e ora continuo a sentire su di me il peso dell’inattività. Dobbiamo agire contro di loro. Tutto il mio lavoro è stato rivolto a questo. Ora è venuto il momento di completarlo».

«Io verrò con te» aveva stabilito lei e Revan l’aveva silenziosamente ringraziata, passandole una mano fra i capelli e sorridendole. Quel sorriso così seducente, cui Bastila sempre si scioglieva, quel sorriso che per lei aveva rappresentato più dell’Ordine cui si era votata, che aveva demolito tutte le sue convinzioni più forti.

«Abbiamo tre tappe da coprire. Prima Dxun: Canderous ha radunato alcuni clan di Mandaloriani; se li recluteremo, potrebbero aiutarci. Poi dovremo recarci su Korriban: alcuni Assassini Sith si sono nascosti fra le rovine dell’Accademia e ci potrebbero essere utili, se domati. In ultimo, andremo su Malachor V – sai, dove si è svolta la battaglia decisiva delle Guerre Mandaloriane –; il successore di Malak, Darth Traya, vi ha radunato i Sith rimasti. Se la sconfiggeremo, saremo in grado di controllarli e sfruttarli.»

Bastila lo aveva guardato inorridita. Dopo tutto quello che era successo, dopo tutte le distruzioni e le sofferenze causate dalle guerre, egli aveva il coraggio di rivolgersi ai Mandaloriani ed ai servitori di Malak?

Allora, in un istante denso come decine di anni, aveva capito. Revan non aveva mutato il proprio animo. Non aspirava veramente al Bene Superiore, come lei, stupidamente, si era illusa. Bramava ancora il potere, unicamente il potere. In un solo impeto fiammante, tutto il suo amore era divenuto odio, un odio approfondito dal pensiero di quello che aveva precedentemente visto in lui.

«Tu vuoi ancora usurpare la Repubblica» lo aveva accusato, «Vuoi usare i Sith e i Mandaloriani per consolidare il tuo potere e Carth per scatenare una rivolta… un’altra guerra civile…»

«Bastila,» aveva replicato lui, assolutamente calmo, «ogni bene, ogni bene superiore, si ottiene solo tramite dei sacrifici. Lo so, è un discorso che ti ho fatto tante volte, e non può certo riparare i miei errori del passato, ma è così e non possiamo farci nulla. Non capisci che, se non prendiamo il potere, la Repubblica sarà sempre indifesa e alla fine crollerà? Noi…»

Ma non aveva avuto il tempo di terminare la frase. In uno scatto, Bastila aveva estratto e acceso la spada laser. La lama dorata aveva trafitto il petto di Revan, che la guardava sbalordito. Ma dagli occhi di lei non erano cadute lacrime. Aveva spento la spada e lasciato che lui si accasciasse a terra, con l’espressione di quando era stato trafitto, con due occhi sorpresi spalancati a fissarla. Poi, lo aveva cremato in un tradizionale rituale Jedi, bruciando con lui anche la sua maschera e la sua armatura.

Era quello che si meritava. Pensava veramente di poterla scampare, raccontandole nuovamente frottole già sentite, e che lei riteneva ormai passato? Pensava veramente di poterla continuare a ingannare, dopo tutto quello che lei aveva fatto per lui?

Finalmente aveva capito. Aveva capito che Revan non era l’alfiere del Bene Superiore: non lo era mai stato. Era solo un illusorio bramoso di potere. Lei si era lasciata sedurre, ma aveva punito anche sé stessa, nel momento in cui aveva sprigionato la lama della sua spada laser. Si era inferta una punizione dolorosissima, di cui avrebbe portato i segni per sempre. Di cui, un giorno, sarebbe morta.

Ma non le importava. Perché ora sapeva di essere capace di tutto: sapeva di poter finalmente agire solo e unicamente per il Bene Superiore. Tutto il resto non significava nulla.

Si alzò. Il “Leviathan” la attendeva in orbita. Già, il “Leviathan”… prima ne era stata prigioniera, ora ne era signora. Ma la flotta sottratta ai Sith era solo una delle armi con cui avrebbe raggiunto il trionfo del Bene Superiore e non era certo la più forte. Quello su cui contava di più era la padronanza della Forza, lontana dai rigidi ed inutili dogmi: ella avrebbe presto imparato alla perfezione come usare sia il lato chiaro, sia il lato oscuro, senza alcuna distinzione. Non poteva permettersi il lusso della purezza, il lusso di padroneggiare solo il lato di cui si sentiva parte. Ora che si era liberata dai vizi che la allontanavano dal Bene Superiore, la purezza le era estranea. Si guardò le mani: il colore grigiastro della sua pelle ne era una testimonianza.

Si avviò. Revan non era stato l’alfiere del Bene, ma aveva avuto delle buone idee. Idee usate nel modo sbagliato, certo, ma comunque eccellenti. idee che lei avrebbe sfruttato per la causa più nobile dell’universo.

Era tempo di andare ed agire. I Veri Sith la aspettavano. Ma non li avrebbe distrutti, no, non li avrebbe sprecati così, non avrebbe mai annientato un popolo; ne sarebbe divenuta regina e li avrebbe condotti dalla Repubblica. Lei sarebbe stata migliore, molto migliore di Revan: grazie ai Veri Sith, avrebbe unificato la Galassia sotto un’unica, grande repubblica benevola e pacifica, che avrebbe reso forti i popoli che la abitavano.

Qualche giorno prima, dopo la morte di Revan, aveva avuto una visione: esseri alieni, dalla pelle biancastra, dalle armature nere e appuntite e strani segni rituali sui volti, che invadevano la Galassia e la facevano sprofondare nel terrore. Voci remote e lamenti da un luogo remoto e irraggiungibile, che tali esseri chiamavano con un nome mai sentito… Yuuzhan’tar. Nella visione li vide cercare nella Galassia la loro nuova casa, sterminandone i precedenti abitanti.

Doveva fare qualcosa. Avrebbe reso la Galassia invincibile.

Lei, non Revan, poteva farlo. Perché lei conosceva il Bene Superiore. Lei avrebbe agito per questo. E avrebbe vinto.

Lei, ora, era la Signora Oscura dei Sith.

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Amministratore - Studente universitario, dopo una carriera alla scoperta dell'Universo Espanso con rara passione, si diletta ora ad esplorare il nuovo canone.
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