Visioni dal futuro – Capitolo IV

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Capitolo IV

Un fumo acre e nero saliva dai resti della cannoniera repubblicana, ormai quasi completamente distrutta, e in fiamme.

Il fumo aveva raggiunto anche l’interno dell’enorme grotta, dove era situato l’avamposto bellico.

Ora non era non rimasto quasi niente, se non qualche impalcatura diroccata e avvolta anch’essa dalle fiamme.

In lontananza si udivano ancora il sibilare dei missili e il boato delle esplosioni.

Lì regnava quasi il silenzio.

Una mano coperta di sangue e di fuliggine sbucò da sotto una lastra di metallo.

Iniziò subito a tastare il terreno come se fosse alla ricerca di qualcosa.
Nel frattempo era spuntata una seconda mano, sempre coperta di sangue e fuliggine e stava aiutando la compagna nella sua ricerca.

Il terreno era duro, coperto interamente di terra bruciata, e di svariati sassi.

La lastra scricchiolò pesantemente, finendo per cadere contro una parete laterale della caverna.

Una figura umanoide, dai vestiti logori e bruciacchiati, l’aveva spinta lontano.

Con una fatica immane l’umano spalancò le palpebre.

Il suo volto era nero e rosso.

Nero per il fumo.

Rosso per il sangue.

Sbatté ripetutamente gli occhi.

Occhi di uno particolare verde quasi azzurro.

Aveva dolori a tutte le ossa, eppure era sicuro di non averle rotte.

O almeno lo sperava.

Quel dannato fumo gli impediva di vedere.

Guardò a destra, a sinistra e davanti.

Sempre nero.

Doveva alzarsi.

E vedere chi altri era sopravvissuto.

Il problema era riuscire a farlo.

Riprovò a guardarsi intorno.

Il fumo parve finalmente iniziare a diradarsi un po’.

E la vide.

Almeno gli pareva una donna.

Poco distante da lui vi era un corpo femminile, che ancora respirava, e che indossava una divisa ancora più bruciacchiata della sua.

I capelli erano coperti da macchie scure, ma lui riusciva a vedere il loro colore naturale: biondo grano.

Strisciando come un serpente si avvicinò alla figura.

Le sfiorò i capelli.

“Siri…”

“Obi… Obi-Wan”

“Come…. come ti senti?”

La giovane donna si voltò: aveva il viso coperto di fuliggine, ma sorrideva, debolmente, ma sorrideva.

“Cosa…. cosa vuoi che ti risponda? “

“In che… in che senso?”

“Vuoi… vuoi una risposta diplomatica o la verità?”

Cercava di usare un torno sarcastico, ma stava balbettando e i suoi occhi chiari erano pieno di paura.

“Mi… mi arrendo, maestra Tachi”

“Non… non sono una maestra”

Le sfiorò il viso con la mano destra, assaporando quel contatto.

“Credi… credi sia sopravvissuto qualcun altro?”

Tremò nel fare quella domanda.

Aveva paura, una paura folle di un’eventuale risposta negativa.

Non sapeva se l’avrebbe potuta reggere.

Non era così forte.

La sua ostentata sicurezza era sempre stata una maschera dietro alla quale nascondere la sua grande fragilità e la sua poca fiducia in se stesso.

Lei chinò il capo, non sapendo cosa dire.

Allungò la mano verso di lui, toccando il viso.

Benché fosse maestro jedi da quasi due anni, non si era ancora fatto crescere la barba, che invece si confaceva al suo nuovo rango.

Le sue labbra sfiorarono quelle del jedi in un piccolo bacio.

“Sono sicura di sì”

Si abbracciarono e si strinsero, scoppiando insieme in un pianto liberatorio.

Dieci minuti dopo stavano vagando nella grotta ognuno in una direzione diversa.

Separati avevano più possibilità di trovare qualcuno vivo, anche se così rischiavano di perdersi.

Avevano comunque deciso di non addentrarsi troppo: se c’erano dei sopravvissuti erano sicuramente caduti verso l’esterno.

Anche se non potevano esserne certi.

Il generale Kenobi stava perlustrando le impalcature rimaste intatte dell’avamposto.

Barcollava ad ogni passo, ma non voleva arrendersi.

La sua ben nota razionalità era andata a farsi friggere dopo l’esplosione e lui stava cercando di recuperarne almeno una parte, più che altro per trovare il modo ragionare in maniera logica.

Ora si sentiva una specie di animale che vagava in qua e in là.

Le fiamme avvolgevano quasi tutto lì e la cosa più logica sarebbe stata andarsene.

Ma non poteva e non voleva.

Perché sentiva qualcosa.

Qualcosa di vivo.

Era molto debole, ma lo sentiva.

Una folata di vento lo investì rischiando di farlo finire nel fuoco: fu solo per una prontezza di riflessi che riuscì ad aggrapparsi ad un palo ancora integro.

“Seguire l’istinto non è poi tanto male a volte”

Dall’altra parte, vicino ai resti delle cannoniere, Siri ne stava perlustrando i resti.

Non era facile nemmeno per lei muoversi in quel fumo e in mezzo a quei rottami.

Non c’era niente e non si vedeva niente.

Se Obi-Wan, che era razionale e pacato di natura, aveva perso sia l’una che l’altra dopo quanto era successo, lei, che era esattamente l’opposto quanto a carattere, ora era in preda alla disperazione più nera.

“Maestra… maestra Adi…” balbettò incespicando tra i resti delle navi.

“Maestro Windu…” implorò con la voce ormai ridotta ad un sussurro.

“Non c’è nessuno qui?” non seppe mai perché riuscì a non gridare né a piangere pronunciando quelle parole disperate.

E poi ad un tratto vidi qualcosa in mezzo a quel fumo.

Sembravano ossa.

Ossa di un cadavere.

Nessun suonò uscì dalla sua bocca, né parole né grida.

Cadde in ginocchio, lasciando che la debolezza la vincesse.

Obi-Wan, nel frattempo, continuava a vagare in mezzo resti dell’avamposto in fiamme.

Cominciava a sentirsi parecchio stupido, perché lì non stava trovando nessuno, eppure sentiva quella flebile sensazione di vita.

“O forse più semplicemente sto impazzendo”

Sì, stava decisamente impazzendo, non c’era niente lì se non il fuoco e se non se ne andava subito rischiava di finire arrostito.

“E non è per niente una bella prospettiva”

La sua razionalità stava tornando?

Non sapeva nemmeno se sperarlo.

Tenendosi ai pochi pali ancora integri provò a rientrare nella grotta, ma quando fu ormai in prossimità di essa vide qualcosa.

O meglio qualcuno.

In un impalcatura lontanissima, di cui si accorgeva solo ora, c’era un corpo.

Lo vedeva chiaramente.

Malgrado le fiamme stessero avvolgendo tutto quanto.

E sapeva bene di chi era quel corpo.

Lo conosceva bene.

La sua razionalità venne sconfitta di nuovo, l’istinto prese il sopravvento e come un pazzo iniziò a correre tra il fuoco e il fumo, mentre i pali vicino a lui iniziarono a crollare uno dopo l’altro.

Ma nemmeno ci badò.

La sua strada era libera, anche se avvolta dalle fiamme e dal fumo.

E se faceva in fretta poteva tornare indietro in tempo, prima che crollasse tutto.

“Anakin…. Anakin”

Niente, nessuna risposta.

Era vivo, doveva essere vivo.

Aumentò il ritmo della sua corsa, rendendosi conto che il fumo gli stava facendo lacrimare gli occhi.

Ma non era importante.

Doveva solo fare in fretta.

Guardò fissa l’impalcatura dove era riverso il suo padawan: si reggeva in piedi a malapena e non sapeva quanto sarebbe durata ancora.

Di nuovo aumentò la sua velocità, sentendo che la milza iniziava scoppiargli per il dolore e così pure le sue ossa, che ora come ora avrebbe potuto contare ad una ad una.

“Anakin….rispondi!!”

Ma ancora una volta la voce del suo allievo non replicò.

Non poteva essere morto.

Aveva bisogno di sentire ancora la sua voce, ne aveva sempre avuto un gran bisogno.

Anche se gli rispondeva male, non aveva importanza.

Non ne aveva mai avuta.

Perché, ora lo sapeva, aveva sempre amato quelle rispostacce, così come aveva sempre amato l’esagerata impertinenze di quello strano bambino.

“Anakin!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola, non preoccupandosi di celare la sua disperazione.

Ora era vicino, c’era quasi.

Il fuoco era dappertutto.

Gli sembrava quasi di soffocare.

Scosse il piccolo.

“Anakin, ti prego” bisbigliò angosciato prendendolo in braccio e portandoselo sulle spalle.

Ancora una volta la voce del bambino non si sentì, ma ora poteva udire chiaramente il suo respiro.

Era flebilissimo, ma c’era.

Riprese a correre, stavolta completamente alla cieca, cercando di farsi guidare dall’istinto ma soprattutto dalla Forza.

“Maestro Qui-Gon, aiutami… ti prego… aiutaci…”

Lasciò che la sua mente si svuotasse, che la Forza lo pervadesse, lasciò che lei lo guidasse.

Corse, corse.

Era tutto avvolto dalle fiamme.

Tutto quanto.

Tremò istintivamente, ma non si fermò.

Doveva andare via di lì.

Raggiungere la caverna e Siri.

Una vampata di calore gli arrivò in pieno viso.

Tremò ancora, ma di nuovo non si fermò.

Doveva continuare a correre.

Doveva mettere in salvo il bambino.

Siri Tachi si era rifugiata in un piccolo angolo della grotta, vicino all’entrata, dopo essere tornata dalla sua ispezione.

Non aveva trovato nulla.

E non aveva la benché minima idea di chi fossero le ossa che aveva visto.

Non si intendeva di queste cose.

Era solo una padawan jedi e non aveva nemmeno venticinque anni.

La sua maestra era morta?

E con lei erano morti anche il maestro Windu, il pilota e il piccolo Anakin?

Non riusciva a reagire in nessun modo.

Avrebbe voluto piangere, urlare, ma niente, si sentiva svuotata.

Sperava solo che Obi-Wan tornasse presto, magari con qualcuno.

Guardò verso l’entrata.

Ma tutto ciò che vide erano fiamme e fumo.

Avrebbe dovuto addentrarsi di più nella grotta, però non voleva farlo da sola, aveva troppa paura.

In lontananza udì di nuovo delle esplosioni.

La guerra continuava.

Forse doveva andare fuori e andare ad aiutare l’esercito della repubblica o ciò che ne era rimasto.

Le sembrava tutto così lontano.

“Siri…”

“Obi-Wan” urlò la ragazza voltandosi.

L’uomo arrivava da uno dei piccoli cunicoli e portava sulle sue spalle il corpo svenuto del suo padawan.

“Non possiamo restare qui”

“Lo so”

“Dobbiamo cercare aiuto”

“Forse se ci addentriamo di più troveremo… troveremo un qualche resto dell’avamposto e magari qualcosa con cui comunicare”

Il maestro jedi annuì avviandosi verso l’interno seguito dalla giovane donna.

Malgrado le apparenze la caverna era a dir poco enorme: a giudicare da quello che riuscivano a vedere, sembrava almeno il doppio della base militare che vi era stato costruita dalla Repubblica.

Chissà se coloro che avevano partecipato alla costruzione, conoscevano quella particolarità?

Oppure l’avevano usata per la base proprio per quello?

I due giovani camminavano silenziosi, sempre più incuriositi da quello strano luogo.

Il fumo stava sparendo e una strana luce pareva provenire dall’interno.

Non osavano porsi nessuna domanda, sperando solo di trovare qualcuno che potesse aiutarli in qualche modo.

Il rumore dei loro passi iniziò a rimbombare nella grotta, perché ora il terreno era diventato tutto in ferro battuto.

Aumentarono leggermente l’andatura, ma non sapevano dove andare tutto sembrava vuoto e silenzioso.

Non c’era nessuno.

Le pareti della caverna erano in roccia basaltica e ciò le rendeva impermeabili ad ogni rumore ed ogni intemperia esterni.

E la luce continuava ad aumentare, solo non si riusciva a capire da dove provenisse.

“Forse non è…” Siri non seppe mai che cosa volesse dire il suo amico, perché un boato spaventoso interruppe ogni dialogo.

Questo boato proveniva dal terreno, che si era aperto in un enorme squarcio e che li fece precipitare nel sottosuolo.

“Signorina… jedi… mi sente?” una voce nel linguaggio di Kit, ma non parlava con accento calamaro.

Chissà perché le parlava così?

Barris Offee si toccò ripetutamente la fronte madida di sudore.

“Sì” balbettò la ragazza sentendo un gran dolore dappertutto e sforzandosi, inutilmente, di alzare le palpebre.

“Mi spiace per l’aggressione” disse di nuovo quella strana voce.

“Chi… chi siete?” la testa le doleva ogni secondo di più.

“Un amico o almeno spero che mi consideriate così”

“La mia… mia amica Aayla?”

“Non ho potuto far nulla per lei: le hanno preso il cuore al primo colpo, invece a voi vi hanno preso in vari punti, ma non vitali”

“Ca.. capisco… io dovrei…”

“Non dovete muovervi, mia giovane amica: ho detto che non vi hanno preso in punti vitali, non che state bene”

Barris sorrise divertita: era strano essere trattata in quel modo… come definirlo? Dolce? Affettuoso?

Non che la sua maestra non le volesse bene e non glielo dimostrasse, ma… ma non sapeva… non sapeva.

“Per… perché mi state aiutando?”

“Perché non credo che siano vere le voci su voi jedi”

“Gra… grazie”

“Non che il mio pensiero su di voi sia molto positivo, comunque…”

La giovane padawan provò ad alzarsi con il busto, ma cadde rovinosamente indietro.

Decise allora di aprire gli occhi, per conoscere almeno il volto del suo salvatore.

Egli era di razza umanoide, con capelli blu scuro e occhi gialli, lineamenti quasi bambineschi, eppure un po’ duri, così come il suo sguardo: buono ma pieno di rabbia.

Era parecchio alto, quasi sui due metri, dalla corporatura agile e muscolosa, o almeno così sembrava dai semplici vestiti che indossava, ovvero una divisa grigia con una cintura blu.

“Cosa… cosa pensate di noi?”

“Ne dobbiamo parlare proprio ora?” la voce ora non era più tenera, ma piena di rancore.

“Sì”

“Che vi credete superiori a tutti e ignorate i sentimenti delle persone, nonché i loro problemi”

Ora c’era proprio odio nella sua voce.

“E perché… perché mi state aiutando?”

“Ve l’ ho già detto” e senza attendere risposta l’uomo uscì dalla piccola stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.

Barris sorrise di nuovo: gli piaceva quel suo comportamento così particolare.

La lunga e rovinosa caduta aveva fatto precipitare Anakin, Obi-Wan e Siri in un’altra caverna, stavolta completamente buia.

Il tonfo era stato violentissimo, ma attutito da qualcosa di morbido, apparentemente simile alla paglia.

Ma pareva fredda come la neve.

La neve la sotto?

Come era possibile?

“Tutto bene, Siri?”

“Credo di sì… Anakin?”

“Credo sia ancora svenuto…”

Kenobi provò ad alzarsi, ma cadde violentemente contro la parete.

Decisamente non era la sua giornata.

Si appoggiò alla roccia, che disgraziatamente era levigata più di un diamante purissimo.

Siri tastò il morbido terreno finché non trovo il corpo di Anakin, ancora esamine, ma vivo.

Il suo respiro però era sempre più flebile.

Lo sollevò e lo prese in braccio.

“Dobbiamo… dobbiamo trovare qualcuno… sta male…”

“Lo sento,  Siri… lo sento”

Obi-Wan cercò di abituare i suoi occhi a quell’oscurità e soprattutto di recuperare un minimo della sua abituale razionalità.

Ne aveva bisogno per tutti loro.

Lentamente uscirono a tentoni dalla grotta e si ritrovarono in un piccolo cunicolo, dove c’era una leggera luce.

Che fare ora? Come uscire di lì?

La luce improvvisamente aumentò e in fondo al cunicolo comparvero delle ombre.

I due giovani si fermarono di botto.

Le ombre si avvicinarono.

Lentamente.

Finché furono in piena luce.

Sembravano di razza twi ’ lek, ma avevano piccoli tentacoli, alcuni ne erano persino sprovvisti ed avevano la pelle rossa e grigia.

Una donna, piuttosto anziana, avvolta in una lunga veste grigia si avvicinò a loro e iniziò a muovere le mani.

Ma non voleva colpirli, era come se… come cercasse di comunicare.

Obi-Wan si ricordò che aveva letto da qualche parte che una delle forme di comunicazione dei twi ‘ lek era il linguaggio dei gesti, che per fortuna lui aveva imparato diligentemente.

Guardò il corpo esamine del suo padawan avvolto dalle braccia di Siri: forse loro potevano aiutarlo.

Dovevano aiutarlo.

I vestiti del bambino era logori ancora più dei suoi e aveva sangue dappertutto, specialmente sulle gambe.

Sospirò cercando di concentrare il suo sguardo, di nuovo, sulla vecchia.

Mosse le mani.

“Abbiamo… abbiamo bisogno di aiuto”

L’anziana donna annuì e si avvicinò alla jedi, che teneva gli occhi fissi su Anakin.

Le accarezzò il viso e le sorrise premurosa, poi mosse di nuovo le mani.

Obi-Wan sbattè gli occhi ripetutamente.

Aveva capito male.

Quella donna non poteva aver detto…

La comandante Tachi alzò il capo incrociando lo sguardo verde del generale Kenobi.

“Sì, sono la madre… e lui è il padre…”

Di nuovo il giovane jedi sbattè gli occhi e stavolta Siri si avvicinò a lui, sussurrandogli debolmente.

“Qualunque cosa tu stia pensando, smettila, sono certa che possono leggere dentro di noi…”

“Co… come lo sai?”

“Taci!”

“Ma… non possono sentirci…”

“Non possono parlare, è diverso… senti, Obi-Wan, tieni ad Anakin?”

“Sì…”

“E allora lasciami fare a modo mio: loro possono aiutarlo, possono aiutare tutti noi”

Obi-Wan guardò il suo allievo tra le braccia della sua amica: stava davvero male.

Dovevano aiutarlo.

I due giovani si voltarono e Siri porse alla vecchia il corpo del bambino, che venne subito portato via, con delicatezza, da due uomini piuttosto alti e robusti, con dei piccolissimi tentacoli sulla testa.

Fine Capitolo IV

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Amministratore - Il più grande esperto di "imperialità" di questa galassia (dai, forse giusto dopo Palpatine), divora con passione fin dalla tenera età ogni cosa che riguarda Star Wars. Vive e lavora a Londra.
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